Il rapporto della “Commissione globale per la politica sulla droga” fa ben sperare in nuovi modelli di contrasto ad abusi e dipendenze e dovrebbe far vergognare i fautori della nostrana retorica ideologica sulle droghe che, purtroppo, quotidianamente siamo costretti a sperimentare in qualità di operatori e cittadini. In realtà, il povero Giovanardi (è lasciato a chi legge interpretare quale possa essere tale carenza) si lancia in sconclusionati anatemi contro ogni ipotesi di regolamentazione, trincerandosi dietro ai soliti dogmi neuroscientisti che ormai costituiscono il suo pezzo forte e quello del degno staffiere Serpelloni (il correttore suggerisce anche stalliere ma non si voleva potesse sembrare offensivo).
Ecco allora che appare sui siti del Dipartimento delle Politiche Antidroga la risposta con tanto di “scherno ufficiale” della Commissione:
In risposta alle dichiarazioni in merito alle proposte di legalizzazione dell’uso di sostanze stupefacenti, in aperta opposizione con le attuali politiche antidroga portate avanti da tutte le Nazioni Unite, lanciate da una altisonante quando sedicente “commissione globale sulle politiche sulla droga”, composta da persone particolarmente note quali intellettuali, attori, cantanti, ex-funzionari dell’ONU ed ex-presidenti di Stato, il Dipartimento … (leggi il documento)
A tali evanescenti elucubrazioni proviamo a rispondere dissociandoci completamente dal tono sarcastico iniziale della risposta del Dpa ma, anzi, ponendo l’accento sul fatto che tali personaggi non rappresentano, come del resto mai hanno potuto fare, la posizione della maggioranza degli operatori che lavorano a stretto contatto con problemi di dipendenza, così come quella di molti cittadini.
1. Ove è stato implementato un sistema di regolamentazione delle droghe, seppur imperfetto ed incoerente (spesso proprio in relazione alle vigenti Convenzioni internazionali sulla droga), il mercato nero di tali sostanze è crollato, con diminuzione del numero di consumatori, miglioramento delle condizioni di salute e affrancamento dalla condizione di dipendenza di un buon numero di consumatori cronici che avevano fallito tutte le precedenti terapie (vedi la sperimentazione svizzera con l’eroina, il cui esempio, al momento, è stato seguito da Germania, Spagna e Belgio).
2. Potrà anche essere vero che la tossicodipendenza sia prevenibile, curabile e guaribile, ma perché questo possa avvenire per prima cosa andrebbero finanziati seri programmi di prevenzione a partire dalle scuole che purtroppo in Italia, non hanno nemmeno i soldi per la carta igienica e dalle comunità locali, ampiamente colpite dai tagli alla sanità e ancor più al comparto del sociale. Al contrario, si investe in costose pubblicità progresso sui media nazionali che richiamano modelli che non rappresentano affatto concetti negativi nell’immaginario dei giovani (vedi il mostro-vampiro ideato dalle menti superfini del Dipartimento all’epoca del successo di pellicole quali Blade, Underworld, Twilight, ecc. Solo nel 2010 sono state una decina i film che si rifacevano al mito dei vampiri).
In merito ai comportamenti a rischio, alla guida o in ambito lavorativo, se davvero stesse a cuore la salute del singolo e della collettività si agirebbe sulle condizioni in acuto, non attraverso leggi che estendono il controllo sulle condotte private che per quanto possano risultare amorali, per talune menti bigotte, certamente non rappresentano una immediata violazione dei diritti di altri. La sicurezza sulla strada e nei luoghi di lavoro è una tematica importante e non va affrontata con leggi faziose che si affidano a test che rilevano un consumo in genere e non evidenziano un reale stato di alterazione. Abuso e dipendenza rappresentano un problema, non solo sociale, ma la repressione operata non costituisce un deterrente al consumo problematico e crea, inoltre, nuovi circuiti di esclusione. Se poi si aggiungono le preoccupazioni sul versante sanitario, cui Giovanardi fa riferimento nella risposta, non appare comprensibile il muro operato nei confronti delle pratiche di riduzione del danno che viceversa offrono soluzioni collaudate nella diffusione delle epidemie: è proprio non offrendo un’efficace tutela ai consumatori di sostanze che si aumentano i rischi del contagio.
3.- 4. Non è possibile non riconoscere che lo spaccio, connesso con la condizione di dipendenza, non vada affrontato alla stregua del narcotraffico su larga scala. Negare la criminalizzazione delle persone dipendenti è oggi semplicemente impossibile alla luce della ormai riconosciuta funzione di detenzione sociale operata dal carcere. Le cifre facenti riferimento ad oltre un terzo della popolazione ristretta in condizione di dipendenza sono elaborate dalla Direzione dell’Amministrazione Penitenziaria e pertanto non appaiono confutabili. Inoltre, sebbene in Italia consumare sostanze non costituisca formalmente un reato, le sanzioni che vengono erogate limitano in maniera eccessiva la libertà personale pur non costituendo di fatto una detenzione. Le richieste di programma terapeutico conseguenti alla denunce per possesso di stupefacenti sono crollate di quasi il novanta per cento nell’arco di un quinquennio di applicazione della nuova normativa.
Il sovraffollamento carcerario (141% della capienza normale) è dovuto in buona parte alle persone in condizione di dipendenza o ristrette per reati connessi allo spaccio di sostanze. Considerando anche tale ipotesi si giunge a circa la metà della popolazione carceraria: è indubbio che la legge attuale non funzioni sul versante della riabilitazione e del reinserimento, a meno che con quest’ultimo termine non si vogliano indicare i successivi ingressi alla detenzione.
5. La politica di riduzione del danno è anche una politica sanitaria. Veri e propri presidi sanitari sono le stanze da iniezione che si vorrebbero realizzare, attive in diversi paesi europei ma assolutamente osteggiate dal nostro Dpa. La totalità dei drop-in realizzati offrono un primo supporto sanitario, talvolta questo è completo ed avanzato come dimostra l’esempio di Pr.assi a Torino, in ogni caso costituiscono un nodo per l’aggancio delle persone con consumi problematici e l’invio ad altri servizi sanitari. Anche le pratiche di limitazione dei rischi, attuate on site e nei setting naturali di consumo pur potendo non disporre del supporto sanitario, in Italia, ove sono state attuate, come ad esempio nei rave, sono state comunque accompagnate da personale sanitario. Sembra che la dissociazione tra sociale e sanitario nelle pratiche di riduzione del danno sia più nella mente dei suoi detrattori piuttosto che nella realtà dei fatti, nonostante vada ascritto come nemmeno la legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali (328/00) pur prevedendo unacompleta integrazione socio-sanitaria sia riuscita di fatto ad attuarla. Ma questo non è il caso della maggior parte dei servizi a bassa soglia e di outreach che operano mediante la riduzione del danno. Infine, appare ideologica e priva di conferme l’asserzione secondo cui la politica di “harm reduction” se applicata da sola e al di fuori di un contesto sanitario orientato alla cura risulta, nel lungo termine, fallimentare e di scarso effetto preventivo, oltre al fatto che è in grado di cronicizzare lo stato di tossicodipendenza.
6. Un contatto attivo e precoce con le persone che fanno uso di droghe si realizza attraverso l’accesso a bassa soglia, l’outreach, il lavoro nei setting naturali di consumo e le azioni di riduzione del danno. A dirlo sono proprio le politiche europee, oggi esportate in altre zone del mondo nonché nei paesi dell’est europeo. Le terapie antiretrovirali non garantiscono il successo che solo adeguate azioni di prevenzione possono garantire, così come le pratiche di riduzione del danno offrono ampie evidenze di una forte limitazione del numero di contagi. Non si può affermare che la cura alle patologie correlate debba privilegiare la somministrazione di farmaci, questi ultimi servono solo a contagio avvenuto. La forte connotazione ideologica del Dipartimento porta a negare persino facili sillogismi ancorché un’efficace logica di supporto a consumatori problematici.
7. Nessuno aveva dubbi sul ricorso distorto alle neuroscienze; una costante ormai. A parte il fallace discorso secondo cui l’uso di sostanze stupefacenti vada meramente ricondotto su di un piano sanitario (nemmeno l’uso problematico offre spunti a tale ragionamento), subordinare la questione ad un’unica disciplina è riduttivo e non offre avvii alla comprensione né può giungere a soluzioni che non ricadano nelle solite logiche del divieto operato mediante norme repressive. Tale, infatti, è la naturale conclusione di un approccio farmacocentrico che antepone determinate evidenze scientifiche utili solo a supportare delle tesi preconcette; omettendo di porre al primo posto la salute dei consumatori e della collettività. La negazione di un approccio basato sulle differenze (differenti sostanze e differenti utilizzi delle stesse) è la spinta ideologica alla retorica neuroscientista.
Riguardo alle campagne di prevenzione, di sostegno alla famiglia e alla scuola non si riesce a ravvisare dove ciò sia efficacemente attuato. Soprattutto, a chi i fondi vadano indirizzati vista la totale carenza degli stessi in materia, tanto presso l’istituzione sopra citata quanto nella disponibilità delle comunità. Peter Koeler, direttore del «Centro per la prevenzione delle dipendenze e la promozione della salute» che da 10 anni lavora per la Provincia di Bolzano, ammonito dal Dpa per le recenti affermazioni di tenore molto simile a quelle della Commissione Globale, stima una spesa pari ad almeno un euro pro capite per la realizzazione di un efficace intervento di prevenzione sul territorio. E non è una citazione a caso perché viste le consulenze che gli sono state richieste il modello che propone sembra funzionare. Seguendo tale indirizzo occorrerebbero 56 milioni di euro in Italia per una adeguata prevenzione ma dei quali non se ne intravede neppure l’ombra. La realtà dei fatti è che ancora una volta siamo di fronte ad una palese ed opportuna distorsione del concetto di prevenzione: nelle menti del Dpa esso coincide con quello di repressione, solo in tal modo è possibile trovare riscontro delle spese sostenute.
8. 10. 16. Non si capisce cosa il Dpa intenda per legalizzazione delle sostanze; ciò non viene minimamente spiegato. Forse il riferimento è ai “coffe shop” olandesi, una politica liberale che ha restituito riscontri positivi nella diminuzione dei consumi. E’ probabile che non si riesca nemmeno a concepire una regolamentazione delle altre droghe nonostante le sperimentazioni attuate siano pregne di spunti concreti per un’applicazione su larga scala. A tal proposito il consiglio che viene dato è di iniziare a seguire coloro i quali senza pregiudiziali ideologiche hanno affrontato tale argomento traendone considerevoli riflessioni e suggerimenti riguardo a possibili modelli di applicazione (qui esiste anche la traduzione italiana).
9. Proprio la sperimentazione svizzera ha dimostrato come un programma di distribuzione controllata abbia fortemente inciso sulla criminalità connessa col mercato di droghe. Ciò è riportato anche in un apposito focus all’interno del rapporto della Commissione che il Dpa vorrebbe screditare, segno che probabilmente neppure lo si è letto con attenzione. Giusto per dovere di cronaca si riportano i tre effetti rilevati:
• Si è sostanzialmente ridotto il consumo tra i consumatori più recidivi, e questa riduzione della domanda ha influenzato la sostenibilità del mercato. (Per esempio, il numero di nuovi tossicodipendenti a Zurigo nel 1990 era 850. Entro il 2005 il numero era sceso a 150.)
• Si sono ridotti i livelli di altre attività criminali associati con il mercato. (Per esempio, vi
è stata una riduzione del 90% di reati contro il patrimonio commessi dai partecipanti al programma).
• Con la rimozione dei tossicodipendenti locali che svolgevano attività connesse alla vendita, i consumatori svizzeri occasionali hanno trovato difficoltà ad entrare in contatto con i venditori”.
11. Come per sostanze altamente nocive ma legali, quali sono le sostanze alcoliche ed i farmaci antidepressivi, esiste una regolamentazione che ne prevede un uso compatibile con una vita attiva, non si capisce perché ciò non possa essere fatto per altre sostanze tra le quali molte presentano una comprovata minore tossicità.
12. La regolamentazione delle sostanze risponde alla necessità di ridurre le spese sostenute nella lotta alle droghe. Un’azione incentrata su quattro pilastri, distinti e indipendenti ma in sinergia tra loro, quali potrebbero essere prevenzione, trattamento e riabilitazione, riduzione del danno e sicurezza, è tesa a minimizzare i danni ed i costi economici e sociali. Di fronte ai miliardi di euro inutilmente spesi nella “war on drugs”, quelli corrisposti per l’attuazione di politiche differenti rappresentano una goccia nel mare.
13. A dispetto di ciò che il Dpa afferma, esiste un forte sbilanciamento nelle spese per la sicurezza rispetto a quella programmata per la prevenzione, la cura e la riabilitazione. Questa si traduce in alti costi sociali per i consumatori e le persone dipendenti, a fronte di una sempre crescente prosperità delle organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti.
14. Le politiche di repressione delle organizzazioni criminali andrebbero intraprese senza rivolgere la quasi totalità dell’attenzione ai livelli più bassi del traffico, nonché ai consumatori di sostanze. Ma non costituiscono alcuna efficacia se non sono supportate dal rispetto dei governi dei paesi coinvolti ed accompagnate da azioni di supporto tecnico ed economico. Nel rapporto della Commissione non appare affatto la tesi secondo cui la repressione del traffico internazionale precluda il dovuto sviluppo di politiche sanitarie, anzi. Il riferimento ai piccoli spacciatori, ai corrieri e ai coltivatori riflette la constatazione secondo cui essi non possono essere trattati allo stesso modo degli appartenenti alla criminalità organizzata. Svolgendo azioni illegali per lo più per necessità o coercizione che per desiderio di profitto, costituiscono il livello più debole della piramide del traffico e sono esposti a maggiori rischi.
15. Lo scontro del Dpa con il Cnr sulla questione della supposta diminuzione del consumo di sostanze è relativamente recente e si riferisce agli ultimi dati a disposizione. Dopo un costante e progressivo aumento dei consumi nel corso degli ultimi anni, oggi ci viene propinato un’inversione di tendenza tesa a confermare il successo della linea repressiva intrapresa e subito i ricercatori ufficiali la smentiscono. E’ certo che il concetto di “evidence-based” sfugge alla comprensione di coloro i quali sono accecati da una perversa ideologia e convinti della supremazia della morale sull’etica.
Questo stesso articolo risulta inutile ai fini di un improbabile confronto ma, almeno si spera, utile a svelare l’assoluta faziosità di coloro i quali perseverano in un atteggiamento punitivo e repressivo a discapito del benessere di tutti. Terminiamo con una citazione pertinente all’argomento trattato e che risale a circa due secoli e mezzo fa:
” …nelle infinite e oppositissime attrazioni del piacere e del dolore, non possono impedirsele dalle leggi umane i turbamenti e il disordine. Eppure questa è la chimera degli uomini limitati, quando abbiano il comando in mano. Il proibire una moltitudine di azioni indifferenti non è prevenire i delitti che ne possano nascere, ma egli è crearne dei nuovi, egli è un definire a piacere la virtù e il vizio, che ci vengono predicati eterni ed immutabili. A che saremmo ridotti se ci dovesse essere vietato tutto ciò che può indurci a delitto? Bisognerebbe privare l’uomo dall’uso dei suoi sensi“
Cesare Beccaria (“Dei delitti e delle pene” – 1764)
la legge giovanardi fini é una legge che obbliga i cittadini a delinquere e non si cura affatto della loro salute…in piú il disagio sociale che si provoca é da veri criminali…basta davvero avete giá preso per i fondelli varie generazioni…una pianta che fá ridere non puó essere pericolosa..io continuo a fumare, fumo da oltre 30 anni e non intendo lasciare..con tutto il bene che mi fá….ai giovani dico lottate per la vostra felicitá e libertá….i politici che mettono sempre i bastoni tra i piedi solo per i loro sporchi affari devono stare a casa..non aiutano il paese al contrario lo confondono…viva la libertá